Dichiarare giusti
Il verbo ebraico tsadhèq (affine al sostantivo tsèdheq, “giustizia”) a volte è reso “dichiarare giusti”. (Eso 23:7; De 25:1) Questa espressione biblica è resa anche “giustificare”, e le forme nominali sono tradotte “giustificazione”. Nelle Scritture Greche Cristiane, dove troviamo la spiegazione più completa, il termine originale, il verbo dikaiòo, da cui derivano i sostantivi dikàioma e dikàiosis, ha fondamentalmente il significato di assolvere o prosciogliere da ogni accusa, ritenere innocenti e quindi assolvere, o giudicare e considerare giusti. — Vedi W. Bauer, Greek-English Lexicon of the New Testament (riveduto da F. W. Gingrich e F. Danker), 1979, pp. 197, 198; anche L. Rocci, Vocabolario greco-italiano, p. 484.
Perciò l’apostolo Paolo dice che Dio è “provato giusto [forma di dikaiòo]” nelle sue parole e vince quando viene giudicato dai diffamatori. (Ro 3:4) Gesù disse: “Che la sapienza sia giusta è provato dalle sue opere”. Poi aggiunse che quando dovranno rendere conto nel Giorno del Giudizio, gli uomini saranno ‘dichiarati giusti [forma di dikaiòo]’ o condannati dalle loro parole. (Mt 11:19; 12:36, 37) Gesù disse che l’umile esattore di tasse che pregava contrito nel tempio “scese a casa sua più giustificato” del vanaglorioso fariseo che pregava contemporaneamente. (Lu 18:9-14; 16:15) L’apostolo Paolo afferma che chi muore è “assolto [forma di dikaiòo] dal suo peccato”, avendo pagato con la morte. — Ro 6:7, 23.
Comunque, oltre agli usi suddetti, questo termine greco si può riferire in particolare a un atto di Dio grazie al quale uno è considerato innocente (At 13:38, 39; Ro 8:33) e anche all’atto di Dio con cui una persona è dichiarata perfetta nell’integrità e degna di ricevere il diritto alla vita, come vedremo.
In epoca precristiana. In origine Adamo era perfetto, era un uomo giusto, un “figlio [umano] di Dio”. (Lu 3:38) Era giusto essendo stato creato da Dio e dichiarato “molto buono” dal suo Creatore. (Ge 1:31) Ma non mantenne l’integrità dinanzi a Dio e perse la giustizia per sé e per la sua futura progenie. — Ge 3:17-19; Ro 5:12.
Ciò nonostante fra i suoi discendenti ci furono uomini di fede, come Noè, Enoc e Giobbe, che ‘camminarono con il vero Dio’. (Ge 5:22; 6:9; 7:1; Gb 1:1, 8; 2:3) Di Abraamo viene detto che esercitò fede in Dio e fu “dichiarato giusto”; inoltre è scritto che a Gerico Raab manifestò la sua fede con le opere, quindi fu “dichiarata giusta” e le fu risparmiata la vita quando la città di Gerico fu distrutta. (Gc 2:21-23, 25) Va notato che nell’epistola di Giacomo (appena citata) e anche nella lettera ai Romani (4:3-5, 9-11), nella quale Paolo cita Genesi 15:6, viene detto che la fede di Abraamo ‘gli fu attribuita a giustizia’. Il senso di questa espressione diventa più chiaro considerando il significato del verbo greco logìzomai, “contare”, usato qui.
Come viene “attribuita” la giustizia. Anticamente il verbo greco logìzomai veniva usato di solito nel senso di contare o fare calcoli per tenere una contabilità, a indicare sia qualcosa che viene addebitato sia qualcosa che viene accreditato. Nella Bibbia è usato nel senso di “attribuire, mettere in conto, tenere conto”. Infatti 1 Corinti 13:5 dice che l’amore “non tiene conto [forma di logìzomai] del male” (cfr. 2Tm 4:16); e troviamo la seguente citazione del salmista Davide: “Felice l’uomo al quale Geova non attribuisce peccato”. (Ro 4:8) Paolo indicò a quanti consideravano le cose secondo il loro valore apparente la necessità di farne una corretta valutazione, esaminando per così dire entrambi i lati della questione. (2Co 10:2, 7, 10-12) Allo stesso tempo Paolo si preoccupava che ‘nessuno gli attribuisse [forma di logìzomai]’ più di quanto era giusto riguardo al suo ministero. — 2Co 12:6, 7.
Il verbo logìzomai può significare anche “stimare, valutare, contare o identificare (con un gruppo, una classe o un tipo)”. (1Co 4:1) Infatti Gesù disse che sarebbe stato “annoverato [forma di logìzomai] fra gli illegali”, cioè classificato o identificato con loro come se fosse stato uno di loro. (Lu 22:37) Nella lettera ai Romani l’apostolo dice che se un incirconciso osserva la Legge, “la sua incirconcisione sarà considerata circoncisione”, cioè stimata o valutata come circoncisione. (Ro 2:26) Similmente i cristiani erano esortati a ‘fare conto di essere morti riguardo al peccato, ma viventi riguardo a Dio mediante Cristo Gesù’. (Ro 6:11) E i cristiani unti scelti fra i gentili, pur non essendo discendenti carnali di Abraamo, erano “considerati come seme” di Abraamo. — Ro 9:8.
Come poté Abraamo essere dichiarato giusto prima della morte di Cristo?
Anche la fede di Abraamo dunque, accompagnata dalle opere, ‘gli fu attribuita [messa in conto, accreditata o contata] come giustizia’. (Ro 4:20-22) Questo naturalmente non significa che lui e gli altri uomini fedeli d’epoca precristiana fossero perfetti o senza peccato; eppure, in virtù della fede che esercitavano nella promessa di Dio relativa al “seme” e per la ragione che si sforzavano di seguire i comandi di Dio, non erano considerati ingiusti, privi di una buona relazione con Dio, come il resto del mondo del genere umano. (Ge 3:15; Sl 119:2, 3) Amorevolmente Geova li considerava innocenti, in paragone con il mondo del genere umano estraniato da Dio. (Sl 32:1, 2; Ef 2:12) Così, a motivo della loro fede, Dio poteva trattare con quegli uomini imperfetti e benedirli, e questo senza venire meno alle sue perfette norme di giustizia. (Sl 36:10) Essi comunque si riconoscevano bisognosi di redenzione dal peccato e attendevano il tempo in cui Dio l’avrebbe provveduta. — Sl 49:7-9; Eb 9:26.
Il “solo atto di giustificazione” di Cristo. Le Scritture mostrano che Gesù Cristo, quand’era sulla terra, aveva effettivamente un organismo umano perfetto (1Pt 1:18, 19) e mantenne la sua perfezione continuando a serbare e rafforzare la propria integrità nella prova. Questo era in armonia con il proposito di Dio di rendere “perfetto mediante le sofferenze” il principale Agente della salvezza. (Eb 2:10) Vale a dire, Gesù fu reso perfetto in quanto a ubbidienza e integrità e anche in relazione alla sua posizione salvifica di Sommo Sacerdote di Dio, come spiega Paolo in Ebrei 5:7-10. Avendo terminato il proprio corso terreno senza alcun difetto nel vero senso della parola, Gesù fu riconosciuto giusto da Dio. Fu dunque l’unico uomo che, nella prova, rimase incrollabilmente e assolutamente retto o giusto dinanzi a Dio per merito proprio. Gesù Cristo, con questo “solo atto di giustificazione [forma di dikàioma]”, vale a dire mostrandosi perfettamente giusto per tutto il corso della sua impeccabile vita, incluso il suo sacrificio, provvide la base per dichiarare giusti coloro che hanno fede in lui. — Ro 5:17-19; 3:25, 26; 4:25.
Nella congregazione cristiana. Con la venuta del Figlio di Dio, il Redentore promesso, si instaurò una nuova condizione su cui Dio poteva basare i rapporti con i suoi servitori umani. I seguaci di Gesù Cristo chiamati a essere suoi fratelli spirituali, con la prospettiva di essere coeredi con lui nel Regno celeste (Ro 8:17), vengono prima dichiarati giusti da Dio in base alla loro fede in Gesù Cristo. (Ro 3:24, 28) Questo è un giudizio di Geova Dio; perciò nessuno può ‘presentare un’accusa’ a lui, il Giudice Supremo, contro i suoi eletti. (Ro 8:33, 34) Perché Dio compie questa azione nei loro confronti?
Prima di tutto perché Geova è perfetto e santo (Isa 6:3); quindi, in armonia con la sua santità, quelli che accoglie come figli devono essere perfetti. (De 32:4, 5) Gesù Cristo, il principale Figlio di Dio, dimostrò di essere perfetto, “leale, semplice, incontaminato, separato dai peccatori”. (Eb 7:26) I suoi seguaci, però, sono figli di Adamo, il quale, a motivo del peccato, generò una famiglia imperfetta, peccaminosa. (Ro 5:12; 1Co 15:22) Quindi, come mostra Giovanni 1:12, 13, i seguaci di Gesù non erano inizialmente figli di Dio. Grazie alla sua immeritata benignità Geova Dio ha stabilito un procedimento di “adozione” mediante il quale concede a questi privilegiati di diventare suoi figli spirituali e li accoglie nella sua famiglia. (Ro 8:15, 16; 1Gv 3:1) Di conseguenza Dio pone la base per la loro adozione quali figli dichiarandoli giusti grazie al valore del sacrificio di riscatto di Cristo in cui essi esercitano fede, assolvendoli da ogni colpa dovuta al peccato. (Ro 5:1, 2, 8-11; cfr. Gv 1:12). Perciò sono considerati come se fossero completamente giusti, in quanto tutti i loro peccati sono perdonati e non vengono imputati loro. — Ro 4:6-8; 8:1, 2; Eb 10:12, 14.
Il dichiarare giusti questi cristiani va dunque molto oltre il summenzionato caso di Abraamo (e degli altri servitori di Geova precristiani). Indicando la portata della giustificazione di Abraamo, il discepolo Giacomo scrisse: “Si adempì la scrittura che dice: ‘Abraamo ripose fede in Geova e gli fu attribuito a giustizia’, e fu chiamato ‘amico di Geova’”. (Gc 2:20-23) Quindi, a motivo della sua fede, Abraamo fu dichiarato giusto come amico di Dio, non come figlio di Dio ‘nato di nuovo’ in vista della vita celeste. (Gv 3:3) Le Scritture spiegano chiaramente che prima della venuta di Cristo non era stata offerta agli uomini né la possibilità di diventare in tal modo figli di Dio né una simile speranza celeste. — Gv 1:12, 17, 18; 2Tm 1:10; 1Pt 1:3; 1Gv 3:1.
È evidente che, pur godendo della posizione di persone giuste dinanzi a Dio, questi cristiani non possiedono l’effettiva o letterale perfezione nella carne. (1Gv 1:8; 2:1) Ora come ora non occorre che questi seguaci di Cristo che hanno la prospettiva della vita celeste siano letteralmente perfetti nella carne. (1Co 15:42-44, 50; Eb 3:1; 1Pt 1:3, 4) Comunque, essendo stati dichiarati giusti, essendo stata loro “attribuita”, o accreditata, la giustizia, le esigenze della giustizia di Dio sono soddisfatte, ed egli introduce quelli che adotta nel “nuovo patto” convalidato dal sangue di Gesù Cristo. (Lu 22:20; Mt 26:28) Questi figli spirituali adottivi introdotti nel nuovo patto stipulato con l’Israele spirituale sono ‘battezzati nella morte di Cristo’, morendo infine di una morte simile alla sua. — Ro 6:3-5; Flp 3:10, 11.
Per quanto Geova perdoni i loro peccati dovuti all’imperfezione e alla debolezza della carne, nondimeno in questi cristiani esiste un conflitto, come è illustrato nella lettera di Paolo ai Romani (7:21-25). È un conflitto fra la legge della loro mente rinnovata (Ro 12:2; Ef 4:23), o “legge di Dio”, e la “legge del peccato” che è nelle loro membra. Questo perché il loro corpo carnale non è perfetto, benché essi siano considerati giusti e i loro peccati siano perdonati. Questo conflitto contribuisce a mettere alla prova la loro integrità verso Dio. Possono vincere grazie all’aiuto dello spirito di Dio e con l’assistenza del loro misericordioso Sommo Sacerdote, Cristo Gesù. (Ro 7:25; Eb 2:17, 18) Per vincere, però, devono costantemente esercitare fede nel sacrificio di riscatto di Cristo e seguire lui, conservando così la propria giustizia agli occhi di Dio. (Cfr. Ri 22:11). In tal modo ‘rendono sicura la loro chiamata ed elezione’. (2Pt 1:10; Ro 5:1, 9; 8:23-34; Tit 3:6, 7) Se, viceversa, cadono in una pratica di peccato, abbandonando la fede, perdono la posizione di favore che godevano dinanzi a Dio come persone giuste perché “mettono di nuovo al palo il Figlio di Dio per loro conto e lo espongono a pubblica vergogna”. (Eb 6:4-8) In questo caso li aspetta la distruzione. (Eb 10:26-31, 38, 39) Perciò Gesù parlò del peccato imperdonabile, e l’apostolo Giovanni fece una distinzione fra il peccato “che non incorre nella morte” e il peccato “che incorre nella morte”. — Mt 12:31, 32; 1Gv 5:16, 17.
Gesù Cristo, dopo essere rimasto fedele fino alla morte, venne “reso vivente nello spirito”, ricevendo immortalità e incorruzione. (1Pt 3:18; 1Co 15:42, 45; 1Tm 6:16) Fu così “dichiarato giusto nello spirito” (1Tm 3:16; Ro 1:2-4) e sedette alla destra di Dio nei cieli. (Eb 8:1; Flp 2:9-11) I fedeli seguaci delle orme di Cristo attendono una risurrezione come la sua (Ro 6:5), aspettando di divenire partecipi della “natura divina”. — 2Pt 1:4.
Altri giusti. In una illustrazione o parabola di Gesù relativa al tempo della sua venuta nella gloria del Regno, quelli che sono paragonati a pecore sono definiti “giusti”. (Mt 25:31-46) Va però notato che in questa illustrazione i “giusti” sono separati e distinti da quelli che Gesù chiama ‘miei fratelli’. (Mt 25:34, 37, 40, 46; cfr. Eb 2:10, 11). Poiché quelli simili a pecore prestano aiuto ai “fratelli” spirituali di Cristo, dimostrando così di avere fede in Cristo stesso, essi sono benedetti da Dio e chiamati “giusti”. Come Abraamo, sono considerati, o dichiarati, giusti quali amici di Dio. (Gc 2:23) Questa condizione giusta permetterà loro di sopravvivere quando i “capri” andranno “allo stroncamento eterno”. — Mt 25:46.
Una situazione analoga si può notare nella visione riportata in Rivelazione 7:3-17. Qui si vede una “grande folla” di numero imprecisato distinta dai 144.000 “suggellati”. (Cfr. Ef 1:13, 14; 2Co 5:1). Che questa “grande folla” si trovi in una condizione giusta dinanzi a Dio è indicato dal fatto che quelli che ne fanno parte hanno “lavato le loro lunghe vesti e le hanno rese bianche nel sangue dell’Agnello”. — Ri 7:14.
La “grande folla” che sopravvive alla “grande tribolazione” non è ancora dichiarata giusta per la vita, vale a dire ritenuta degna di ricevere il diritto alla vita eterna sulla terra. Devono tutti continuare ad abbeverarsi alle “fonti delle acque della vita”, guidati dall’Agnello, Cristo Gesù. Dovranno far questo durante il Regno millenario di Cristo. (Ri 7:17; 22:1, 2) Se si dimostreranno leali a Geova nella prova finale al termine dei mille anni, i loro nomi saranno scritti in modo permanente nel libro della vita di Dio, atto con cui Geova dichiarerà, o riconoscerà, che finalmente sono divenuti giusti in senso completo. — Ri 20:7, 8; vedi VITA (Alberi di vita).
Dio si dimostra giusto in ogni suo atto. È evidente che nei suoi rapporti con gli esseri umani imperfetti Dio non viola mai le proprie norme di giustizia e rettitudine. Non dichiara giuste per loro proprio merito persone peccaminose, trascurando o condonando il peccato. (Sl 143:1, 2) Come spiega l’apostolo Paolo: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ed è come gratuito dono che son dichiarati giusti per sua immeritata benignità tramite la liberazione mediante il riscatto pagato da Cristo Gesù. Dio lo ha stabilito come offerta per la propiziazione mediante la fede nel suo sangue. Questo avvenne per dimostrare la sua propria giustizia, perché perdonava i peccati commessi nel passato, mentre Dio esercitava sopportazione; per dimostrare la sua propria giustizia nel tempo presente, affinché egli sia giusto anche quando dichiara giusto l’uomo che ha fede in Gesù”. (Ro 3:23-26) Così Dio, per immeritata benignità, ha preso sulla base del sacrificio di Cristo un provvedimento legale mediante il quale può essere completamente giusto e retto nel perdonare i peccati di chi esercita fede.
Tentativi di dimostrarsi giusti. Poiché soltanto Dio può dichiarare giusto un uomo, i tentativi di dimostrarsi giusti per meriti propri o accettando il giudizio di altri circa la propria giustizia sono assolutamente inutili. Giobbe fu rimproverato perché, pur non accusando Dio di qualche male, “aveva dichiarato giusta la sua propria anima anziché Dio”. (Gb 32:1, 2) L’uomo versato nella Legge, che interrogò Gesù circa il modo per avere la vita eterna, fu rimproverato indirettamente da Gesù per il suo tentativo di dimostrarsi giusto. (Lu 10:25-37) Gesù condannò i farisei perché cercavano di dichiararsi giusti davanti agli uomini. (Lu 16:15) L’apostolo Paolo in particolare spiegò che, a motivo della condizione imperfetta, peccaminosa, di tutto il genere umano, nessuno poteva essere dichiarato giusto cercando di stabilire la propria giustizia mediante le opere della Legge mosaica. (Ro 3:19-24; Gal 3:10-12) Invece sottolineò che la vera base per essere dichiarati giusti è la fede in Cristo Gesù. (Ro 10:3, 4) L’ispirata lettera di Giacomo completa le parole di Paolo spiegando che la fede dev’essere resa viva, non dalle opere della Legge, ma dalle opere di fede, come nel caso di Abraamo e Raab. — Gc 2:24, 26.
Certuni, spacciandosi per apostoli, misero ingiustamente in dubbio l’apostolato e le opere cristiane di Paolo, nel tentativo di indurre la congregazione di Corinto a seguire loro. (2Co 11:12, 13) Paolo, consapevole di svolgere fedelmente l’incarico di economo di Cristo, affermò che non si preoccupava del giudizio di uomini i quali, senza alcuna autorizzazione, si erano in effetti eretti a “tribunale umano” per giudicarlo. Egli non confidava neanche nel proprio giudizio di sé, ma contava di essere esaminato da Geova. (1Co 4:1-4) Così è enunciato il principio che non si può fare affidamento sul giudizio di uomini per stabilire la propria giustizia o ingiustizia, a meno che il loro giudizio non sia sostenuto dalla Parola di Dio. Bisogna rivolgersi alla Parola di Dio e lasciarsi esaminare da essa. (Eb 4:12) Tuttavia, quando è evidente che un giudizio si basa sulla Parola di Dio, chi viene ripreso da un fratello cristiano, specie da un anziano della congregazione, non deve sottrarsi alla riprensione cercando di dimostrare la propria giustizia. (Pr 12:1; Eb 12:11; 13:17) E chi, avendo una posizione di responsabilità, è chiamato a giudicare in una questione o in una disputa, sarebbe condannato da Dio se dichiarasse “giusto il malvagio in considerazione di un regalo”. — Isa 5:23; Gc 2:8, 9.